La nuova pubblicità della Panda è odiosa, politicamente parlando.
Molti ne stanno discutendo in questi giorni. Questa immagine di italianità e di orgoglio del lavoro, ma anche di “senso di responsabilità” richiesto ai lavoratori per “ripartire”. Un’immagine molto serena, la madre lavoratrice con famigliola felice che fa la designer, gli operai tutti freschi e puliti, senza alcuna fatica sul loro volto, che hanno il tempo anche di lucidare il logo della Fiat sulla macchina appena uscita, una fabbrica più pulita di molti ospedali.ma ci sono tanti ‘non va’ e di vere e proprie rimozioni: l’odiosità di contrapporre indirettamente l’Italia dei giovani che “cercano un futuro” e quella ‘creativa’ con l’Italia ‘produttiva’; un elogio dell’italianità quando la delocalizzazione è la prospettiva-Marchionne (un po’ minacciata, un po’ realizzata); la rimozione della fatica di stare in catena di montaggio (che non sempre coincide con il premere un pulsante o guardare dati su un computer); il dramma di una donna lavoratrice che deve arrabbattarsi fra turni e doppi turni ed una famiglia da gestire; Pomigliano che è solo un cartello stradale e non significa certo ‘lotta per i diritti’.
E poi la scelta dei termini, perché le parole sono importanti: “le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo” e “questa è l’Italia che piace”. Ovvio che lo spot sia questo, doveva piacere a Marchionne! E allora ben venga la mistificazione delle condizioni di lavoro – che se rappresentate come sono non rasserenerebbero certo gli animi degli acquirenti -, dello stato psicofisico di chi si fa la catena di montaggio in turni infiniti a cui si aggiungono anche gli straordinari, l’idea che si deve lavorare e produrre senza lamentarsi, perché si è ingranaggi per far funzionare “l’Italia che piace”, ossia quella che non protesta e quella che non crea disagi, quella che sta a testa china.
Ed è tanto una pubblicità da maschietti, perché si sa, la macchina la sceglie l’uomo, possibilmente marito. E quindi non ha proprio senso parlare all’altra metà del cielo che di meccanica non capisce nulla. Quindi ben venga ignorare l’immanenza (che fa tanto “donna”) e guardare solo a ciò che si produce, a ciò che si fa, a ciò che si costruisce. Perché si deve parlare agli uomini e loro sono ciò che fanno, parafrasando Simone de Beauvoir.
Insomma, la classica pubblicità indirizzata a come è la società oggi: dell’uomo bianco, appartenente alla classe media e sufficientemente virile, citando un’altra grande femminista Catharine MacKinnon.
Quindi inutile parlare alle donne. E controproducente raccontare cos’è la Fiat davvero: a nessuno sarebbe venuta voglia di comprarsi una Panda!